Negli ultimi due anni la marginalità delle concessionarie italiane ha vissuto un “atterraggio” dopo il biennio anomalo 2021–2022. I volumi restano sotto i livelli pre-Covid, i tassi bancari – pur rientrati – non sono tornati ai minimi storici e i costi energetici si sono stabilizzati, ma su una soglia più alta rispetto al passato.
L’efficienza non è più una priorità secondaria: è diventata la principale leva di utile. I volumi di vendita da soli non bastano a tenere in equilibrio i conti; serve una revisione profonda della struttura dei costi, per liberare risorse da reinvestire in attività ad alto margine.
In questo scenario, una spending review ben strutturata può diventare una leva strategica per ogni dealer, a prescindere dalla dimensione. Identificare i costi superflui, razionalizzare i processi e adottare KPI chiari sono azioni chiave per affrontare un mercato che rimane incerto.
Tuttavia, non esiste una ricetta unica. Le leve da attivare cambiano molto se parliamo di un concessionario con fatturato più contenuto (<30 milioni di €), di una realtà di medie dimensioni (30–100 milioni di €) o di un grande gruppo oltre i 100 milioni di €. Ogni cluster ha le sue priorità, i suoi rischi e le sue opportunità.
Vediamo ora quali azioni portano davvero risparmio per ciascun livello dimensionale e come trasformarle in margine operativo.
🚗 Concessionarie a fatturato contenuto (<30 Milioni di €)
Per i dealer più piccoli, la sfida non deve essere crescere a tutti i costi, ma difendere la liquidità. Qui non ci si può permettere sprechi: ogni euro immobilizzato in stock o servizi esterni incide direttamente sulla sopravvivenza.
Il primo fronte è lo stock, che non va solo ridotto ma governato. Troppo spesso lo si misura in “giorni medi”, ma la vera metrica è la liquidabilità per segmento: un’utilitaria con richieste quotidiane non si gestisce come una station wagon ferma in vetrina da tre mesi. Creare regole di pricing e rotazione differenziate riduce interessi passivi e libera capitale da reinvestire in lead generation o post-vendita.
Un secondo punto chiave è l’officina. In un contesto piccolo, le ore vendute devono coprire il più possibile i costi fissi, altrimenti l’equilibrio salta. Ma attenzione, non è solo una questione di saturazione, ciò che fa davvero la differenza è la qualità della prima diagnosi: meno rilavorazioni, più efficienza. A questo si aggiunge la capacità di “spalmare” la domanda: riempire le settimane storicamente vuote con promozioni mirate o richiami pianificati dal BDC. Sono mosse semplici, ma con ritorni tangibili.
Infine, le spese generali. In una piccola concessionaria, contratti separati per pulizie, vigilanza o connessioni internet non hanno senso: centralizzare, ridurre frequenze dove non servono e adeguare i consumi reali (showroom vs officina) permette di liberare liquidità senza impattare sulla qualità percepita. Non si tratta di tagliare, ma di “far pagare solo ciò che si usa”.
🚗 Concessionarie a fatturato medio (30–100 Milioni di €)
Per i dealer di fascia intermedia, il rischio maggiore non è la liquidità, ma la dispersione organizzativa. Crescendo, ogni sede tende a replicare processi e strumenti, con costi duplicati e un coordinamento limitato.
Qui la prima leva è la centralizzazione dei flussi. BDC e sistemi informativi devono lavorare come un unico motore: non un call center isolato o un CRM in più, ma un’infrastruttura che governa i lead, riempie le agende di officina e ridistribuisce il carico tra sedi in tempo reale. Il vantaggio non è solo “tagliare licenze”: significa aumentare il tasso di conversione, ridurre i tempi di risposta e saturare meglio le ore tecniche.
Accanto a questo, serve lavorare sulla gestione degli stock demo e Km0. In molte concessionarie medie, il capitale immobilizzato in auto aziendali è enorme, ma raramente monitorato con la stessa attenzione dello stock usato. Qui una spending review efficace introduce regole di rotazione ferree (mesi massimi di permanenza, tetto di budget dedicato) e una gestione centralizzata degli sconti, evitando che ogni venditore faccia le proprie politiche in autonomia. È un’area “scomoda”, ma spesso vale più di mille ottimizzazioni minori.
Infine, gli acquisti indiretti. Materiali, pulizie, logistica, servizi IT: non sono marginali. Quando si cresce a più sedi, diventano un “buco nero” di risorse. Un approccio di category management, con gare centralizzate e KPI di servizio, permette di tagliare costi e soprattutto di rendere i processi più fluidi.
🚗 Concessionarie a fatturato grande (>100 Milioni di €)
Nei grandi gruppi la spending review non è una questione di “tagli”, ma di disegno organizzativo e strategico. Qui il rischio è diventare elefanti poco agili, con strutture che costano come multinazionali ma margini da PMI.
La leva più importante è la razionalizzazione della rete. Troppi gruppi mantengono sedi sovrapposte o location inefficienti per motivi storici o di brand. Un’analisi di redditività per punto vendita, integrata con dati di traffico e bacino clienti, permette di decidere se accorpare, spostare o trasformare sedi in hub di servizio. Non è solo un risparmio di affitti e personale: è un cambio strutturale che libera risorse per investire in aree più profittevoli.
Un secondo ambito è l’energia come asset strategico. Per un gruppo che consuma milioni di kWh l’anno, non è più un costo passivo ma una categoria di investimento. Fotovoltaico, contratti PPA pluriennali, monitoraggio in tempo reale per sito: queste scelte incidono per centinaia di migliaia di euro, e rafforzano anche l’immagine green del gruppo.
Infine, la vera variabile spesso sottovalutata è la gestione finanziaria dello stock. Non basta controllare i giorni medi: serve un “pool inter-sedi” che sposti le auto dove la domanda è più alta, e accordi di floorplan negoziati a livello di gruppo con logiche di scala. Dieci giorni in meno di giacenza, su migliaia di vetture, valgono possono apportare un risparmio significativo.
📞 Ogni concessionaria ha leve di risparmio diverse: ciò che conta davvero è individuare quelle più adatte alla tua realtà.
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